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Saime; tradizione e dove le fanno nel 2015.



Seime, i fuochi dell'Epifania in Bisiacaria

Le Sèime, antica tradizione Bisiaca
a cura di Sergio Vittori


Quando le giornate sono corte e fredde, e la natura sembra oramai morta, nella serata del 5 gennaio si festeggia il solstizio d’inverno con l’accensione di grandi fuochi. Ma vediamo brevemente l’origine di questa antichissima consuetudine nei paesi bisiachi. Nel corso degli scavi eseguiti nel castelliere di Redipuglia intorno agli anni Trenta, furono rinvenuti sei bronzetti di figura umana stilizzata rappresentanti uomini e donne in atteggiamento di offerenti, databili tra il V e il IV secolo a.C.. Non si sa a quali divinità fossero dedicati, in quanto in questo periodo il castelliere di Redipuglia era abitato da una tribù di Eneti. Successivamente, con le invasioni celtiche, si ebbero i primi dèi pagani di cui ci è noto il nome. Giulio Cesare afferma chiaramente che i Celti erano molto religiosi: “Natio est omnis Gailorum admodum dedita religionibus” (trad.: ‘Tutta la popolazione gallica è molto dedita alle religioni”).
Il dio più ricorrente è Lug, con funzioni sacerdotali e militari, che i Romani equipararono a Mercurio; associati a questo dio c’erano gli dèi Dagda e Ogmios: Dagda rappresentava l’aspetto luminoso, mentre Ogmios era il dio che guidava le anime nell’Aldilà. Questa triade di dèi però trovò poco seguito nelle nostre popolazioni a differenza di un altro dio, chiamato Beleno, venerato soprattutto dai Norici (oggi Austria) e dagli Aquileiesi. Il dio Beleno è un dio solare, paragonabile ad Apollo; abbiamo traccia di questo dio già nel Il e I secolo a.C. sia a Zuglio, in Carnia, sia ad Aquiieia. A Fogliano, nei pressi del Borgo Cornat, e precisamente alla fine della vecchia strada che un tempo conduceva a Polazzo, proprio sotto l’antico castelliere cui il Marchesetti aveva dato il nome di “Castelliere di Polazzo”, esiste il “Sàs de San Bilin”. Questo è un grande masso a forma di testa umana, oggi purtroppo rovinato a seguito dei bombardamenti subiti nel primo conflitto mondiale.
Si tramanda a proposito una leggenda secondo la quale nei pressi dell’area del San Bilin, dalla notte dei tempi fino agli inizi di questo secolo, si davano convegno le streghe e i demoni per il sabba, riunione orgiastica presieduta da Satana, presente anche nelle saghe germaniche. Ma è più probabile che qui era situata un’antica ara dedicata al dio Beleno e ancora oggi il luogo viene ricordato con il nome di San Bilin. Dopo l’avvento del Cristianesimo, con il passare del tempo, il culto del dio Beleno fu assorbito da quello cristiano. Sappiamo infatti che due festività erano dedicate a questo dio: nella prima, quella cioè del solstizio estivo, venivano accesi dei falò propiziatori e, con l’avvento del Cristianesimo, tale festività venne dedicata a San Giovanni Battista, in quanto il battesimo era portatore di luce per la cristianità.
Nel territorio bisiaco abbiamo traccia di questa festività a Redipuglia dove, fino ai 1914, alla sera della vigilia del 24 giugno venivano accesi i “Fuochi di San Giovanni”. La seconda festività cadeva il sei gennaio, e anche nella vigilia di questa giornata si accendevano dei falò propiziatori dedicati al dio Beleno. Successivamente, con l’avvento del Cristianesimo, tale festività si trasformò in “Natale di Cristo” e più tardi, nel IV secolo d.C., papa San Giulio (anche se secondo alcuni studiosi fu il suo successore Liberio) fissò il Natale di Cristo al giorno 25 dicembre, data che era dedicata dai romani al “Natale del sole invitto”, quando si festeggiava il sole rinascente, vincitore delle tenebre. Il 6 gennaio venne istituita pertanto l’Epifania e i fuochi propiziatori, chiamati Seime, servivano dapprima a trarre gli auspici sull’annata agricola, come recita l’antica strofetta: “Vers al levante I recolta bondante; se sufia burin / poc pan e poc vin”; e poi, ad illuminare idealmente il cammino dei Re Magi.
Per rievocare questa antichissima usanza delle seime, gli abitanti di Sagrado, Redipuglia, Turriaco, Vermegliano, solo per citare alcuni paesi della Bisiacaria, nei giorni che precedono la serata del 5 gennaio si danno un gran daffare per procurare la legna e per costruire i falò epifanici e, come vuole la tradizione, sperando di intravedere poi tra il bagliore delle fiamme il volto del compagno e della compagna del cuore: il fuoco è infatti da sempre simbolo di vita. Vedere crescere pian piano la fiamma, osservare le lingue di fuoco mentre divorano le sterpaglie e le tamosse in un’atmosfera di gioia e di festa, invita ad essere spensierati e dimenticare le proprie preoccupazioni; tutto questo produce una sensazione bellissima di partecipazione, complicità e unione che, una volta provata, non si dimentica più e che dà la percezione di non essere più soli in questa nostra epoca, insidiata dal consumismo.
Da una cronaca scritta da un autore ignoto, siracconta come veniva accesa la seima a Fogliano, verso la seconda metà dell’Ottocento: “La vizilia dei Santi Tre Re, a la sera i contadini preparava al casel. I piantava in tera quatro o zinque pai e sora i meteva legni, paia e spini, par far una bela fiamada. Terminada de sonar l’Ave Maria, al paron e la parona de casa i inpizàva al casèl, e stava oservar se la fiama andava a levante o a ponente; se andava verso tramontana, iera malaugurio, se invesse andava verso siroco, iera bonaugurio. Terminada la fiamada, de una data distanza de le bronze i se inzenociava e i recitava al Rosario. Terminà de pregar, la parona, cun l’aqua santa tal’ aquasantin de teracota, andava pal toc de camp, dove iera stada la seima, a benidir e in sto tempo la recitava qualche preghiera e qualche invocazion, como par esempio: “Dio mande puteleti, Dio mande porzeleti, Dio mande un poc de tut”.
Dopo tuti se ritirava a magnar la polenta.
Ancora oggi, a ricordo di questa bella edantichissima tradizione, nella serata del 5 gennaio, negli orti e in mezzo ai campi della Bisiacaria si accendono le seime: esse fanno a gara con la luna perdiradare le tenebre della natura, grandi e piccoli si incontrano e, tutti insieme, si stringono cantando in coro attorno ai falò; come tanti bambini chesi scaldano al tepore di una nuova vita nell’anno appena iniziato.




(Da "Lisonz" del Gen-2003, periodiico dell'Associazione Culturale Bisiaca)

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